La mia quarantena col Covid

Come si fa ad andare avanti stando immobili? Cambiando prospettiva

Mi rendo conto che fuori siamo in un momento d’incertezza. Ma vorrei che questo nuovo modo di vivere non finisse più. Nel silenzio di Thun ho imparato a riposare e ho scoperto che anche nei 50 centimetri di un balcone sul cortile interno il sole ti scalderà sempre, la verità è che mi è piaciuto così tanto questo modo di vivere che ho pensato “Vorrei che durasse un pò di più ”, certo perché il Covid con me è stato clemente, probabilmente devo ringraziare le mie difese immunitarie, quindi il mio stile di vita. Certo, mi vergogno a dirlo. Tra contagi, vittime, con ospedali pieni, e persone che lottano per la loro vita, o per salvare la vita degli altri. Ma è possibile che servisse una pandemia per farci cambiare prospettiva? Perché nonostante ciò che accade fuori, nella mia casa, io stavo iniziando a stare bene. E al giorno 17 di questa fine quarantena, a me questo vivere piace. Forse è colpa dei ritmi più lenti. O forse per la sensazione di liberazione da impegni che di colpo non devi più rispettare. Forse è la rilassatezza che nasce dal non avere nessun posto dove andare, nessuno da vedere. Semplicemente stare a casa. A casa con mio figlio, che per anni non ho abbracciato e goduto della sua presenza, è cresciuto così in fretta, è un uomo quasi, a volte ci dimentichiamo di chi abbiamo accanto, rivolgendo un saluto di sfuggita tra un impegno e un altro, tra un appuntamento e una cena, tra un ritardo e un anticipo. In realtà, mi è sempre piaciuto stare a casa. Certo mi manca Andreas, e probabilmente ora è così che deve andare, ci rifaremo, intanto il nostro amore cresce e si rafforza.

La noia sviluppa la creatività

Sono stata cresciuta da una mamma e un papà che reputavano la noia, inaccessibile e sbagliata, io credo sia la migliore terapia per lo sviluppo della creatività. Me l’ha dimostrato il figlio di Andreas, Mattias, che 10 gg chiuso in camera si è inventato davvero delle storie meravigliose. E ricordo estati trascorse col desiderio di andare nei giardini, al caldo, con mio fratello, a inventarci qualsiasi cosa per intrattenerci, e invece ho iniziato a lavorare da giovanissima. Ecco, in questi giorni a casa sono tornata al passato, come catapultata da una capsula del tempo che mi ha permesso di rivivere quelle sensazioni che negli anni non avevo più provato. Una forma di quiete mancata, e ritrovata. Superata l’irrequietezza iniziale, dove ho lavorato come una forsennata, poi ho iniziato a svuotare la “Ram”, come dice Andreas, da domande, programmi, e dubbi, in questi giorni, ho imparato a lasciarmi andare. Ho scoperto che non tutto va come volevi ma che è bello anche così. Che i programmi che facciamo, le proiezioni, e i grandi progetti contano poco perché non sappiamo veramente ciò che il futuro ha in serbo per noi. Ho scoperto che non è necessario essere al mare, in campagna, in una villa maestosa o su un’isola esotica per stare bene. Si può trovare pace anche in un appartamento nel centro di Thun. Anzi, averla avuta nel momento di bisogno, conta ancora di più.

Il riposo cura per l’anima

Ho accentuato il potere curativo di accendere candele, incenso profumato, alzare la musica, spegnere il telefono, svegliarsi la mattina con un tè caldo e una pratica di distensione muscolare per dimenticare tutto il male. Ho scoperto l’importanza di coltivare i propri spazi, ma anche i propri ritmi, e di trovare i propri tempi. Credo in fondo di essere sempre stata amante della lentezza. Si proprio io. E ho scoperto che anche accovacciati nei 50 centimetri di un balcone con vista sul cortile interno, il sole ti scalderà sempre. Ho scoperto che in realtà, per essere sereni, basta volersi bene. E nel silenzio della città, nelle nostre case, ho imparato a riposare. Perché questo è tutto questo. Un riposo. Un riposo del corpo e della mente dal troppo fare — un riposo che è la cura per l’anima.

Mi rendo conto che fuori siamo in un momento d’incertezza. Tra qualche giorno è Natale, e nel grande piano di mobilizzazione, a noi è chiesto di fare il nostro dovere: stare a casa. E se è questo che dobbiamo fare, perché non farlo al meglio? Perché non fare la nostra parte con il sorriso, orgogliosi che in qualche modo stiamo contribuendo alla lotta senza lamentarci e senza essere un peso, anzi alleviandolo. Dal rifugio delle nostre abitazioni, pensiamo poi a chi una casa non ce l’ha, a chi vaga per le strade della città in questi stessi giorni chiedendosi dove passerà la notte, se si troverà al caldo o al sicuro. E siamo riconoscenti. Perché in questo grande schema, il nostro dovere è quello semplicemente di stare a casa. E dobbiamo farlo bene. Perché stare a casa, non vuol dire fermarsi. Mentre si chiudono aziende, negozi, ristoranti, l’economia, e gli appuntamenti in tutto il Paese, dobbiamo ricordarci che non si ferma la vita. Lo diceva anche il vecchio detto, chi si ferma è perduto. Ma come si fa ad andare avanti stando immobili? Cambiando prospettiva. Muovendoci anche da fermi, con la mente, con l’immaginazione, con la creatività. Il movimento è ciò che ci rende vivi, e noi dobbiamo imparare a vivere anche così, cercando di creare nuovi equilibri. Scoprire quanto può essere potente un movimento se fatto con il pensiero. Forse da questo, impareremo a creare molto di più di quanto abbiamo saputo fare fino ad ora, correndo troppo. Anche tu hai avuto esperienza con Covid? Raccontami come l’hai vissuta o come la stai vivendo, sarò lieta di ascoltarti.

Buon Natale, Immacolata.

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